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Europa in Movimento

| Verso un'Europa federale e solidale

Come ampiamente previsto le elezioni regionali in Francia hanno registrato la vittoria del Fronte Nazionale che, con quasi il 30% dei consensi, diventa il partito più votato superando sia i repubblicani di Sarkozy che i socialisti di Hollande.

Il Partito socialista francese ha inseguito politiche e atteggiamenti sovranisti tipici della destra nazionale e quindi il calo elettorale da parte dei socialisti francesi è ben meritato. Ognuno raccoglie quello che ha seminato.

Il Fronte Nazionale voleva chiudere le frontiere ai migranti e il governo Hollande l'ha perseguita dopo gli attentati anche se la misura non serve a granché: molti terroristi hanno la stessa cittadinanza delle vittime.

Il Fronte Nazionale negli ultimi anni si è impadronito della bandiera francese per scopi di orgoglio nazionale in chiave xenofoba. E il governo Hollande ha chiesto ai cittadini francesi di esporre le bandiere tricolori in segno di vicinanza alle vittime del 13 novembre e per mostrare l’orgoglio francese di fronte al mondo. Lo stesso orgoglio e senso di appartenenza alla nazione mostrati dall’assemblea nazionale il giorno dopo l’attentato di fronte al suono della marsigliese.

La bandiera francese poteva e doveva essere accompagnata anche da altri simboli identitari. I francesi appartengono infatti a comunità più grandi: a cominciare da quella europea. L’identità di un cittadino francese non è completa se non si fa riferimento anche al demos europeo. Un cittadino francese è anche un cittadino europeo senza dimenticare che la Francia è uno dei sei paesi fondatori dell’UE. Se avesse voluto ricordare tutte le vittime degli attentati del 13 novembre (a partire da quelle del Bataclan, luogo senza confini, frequentato da giovani cosmopoliti e per questo colpiti dai terroristi) Hollande avrebbe potuto chiedere ai cittadini francesi di esporre le bandiere francesi assieme a quelle dell’Ue e dell’Onu. Tutti ambiti in cui la Francia è rappresentata, tra l’altro, ai massimi livelli a partire dal Consiglio europeo fino al Consiglio di Sicurezza.

E non è ovviamente solo una questione di simboli. Dopo gli attentati parigini la Francia poteva invocare due diversi articoli del Trattato di Lisbona: il 42 e il 222. Ha scelto il primo che prevede aiuti bilaterali per un’azione nazionale mentre ha lasciato cadere il secondo che avrebbe messo in piedi un’azione comune europea.

E' evidente che le risposte adeguate per affrontare le migrazioni di profughi e migranti, per combattere il terrorismo internazionale e per frenare le pulsioni alla rinazionalizzazione e contro la xenofobia possono essere trovate solo a livello europeo. 

E la sinistra può vincere solo rilanciando gli Stati Uniti d'Europa: con una sola politica estera e di sicurezza, una politica comune per l'immigrazione e le politiche di vicinato; una politica europea per garantire uno stato sociale europeo per tutti al fine di arginare una globalizzazione che erode progressivamente diritti già acquisiti. 

I fatti ci dicono che ogni paese europeo da solo non riesce a risolvere i grandi problemi che assillano i cittadini europei.

Da una parte la Germania con l’emergenza profughi ha dimostrato di non potercela fare da sola. Dopo aver inizialmente aperto le porte ai profughi siriani ha dovuto successivamente arrestare il flusso perché non è in grado di gestirlo da sola. Dall'altra parte la Francia il giorno dopo gli attentati ha chiesto aiuto ai partner europei. Anche se alla fine dei conti sia la Francia che la Germania non hanno chiesto una azione e una politica che sia veramente europea. L’Italia che pure potrebbe avere un ruolo costituente se ne sta alla finestra. 

I cittadini  europei  si  aspettano  risposte  efficaci  da  parte dell'Europa  che quest'ultima  non  é  in  grado  di  dare  poiché  i  governi nazionali si  nascondono  dietro l'alibi  della  reticenza  delle opinioni  pubbliche  per  non  fornire  all'Unione  europea gli  strumenti  necessari  per  agire. In  assenza  di  risposte  europee  i cittadini,  che chiedono maggior sicurezza e una speranza per il futuro, si  rivolgono  alle  forze  nazionaliste che  non  permetteranno   all'Europa  di  dare  risposte  efficaci. 

In questo circolo vizioso la sinistra europea tace: i suoi leader non guardano oltre i confini e gli interessi ristretti dei propri paesi, lasciando campo libero alle strumentalizzazioni di una destra populista e razzista.

Questo silenzio non fa ben sperare in una alternativa federalista credibile alle proposte di riforma dell’Eurozona indicate da Cameron nella lettera a Tusk. Se dai governi non è possibile aspettarsi alcunché di sostanzioso non ci resta che appellarci alla punta più avanzata del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali (vedi la dichiarazione dei quattro presidenti delle camere basse di Italia, Francia, Germania e Lussemburgo a favore di una Unione federale) e a quella parte del popolo europeo, ancora maggioritario ma silente, che non ne vuole sapere di ritornare alla divisione in stati nazionali, alle frontiere e ai muri che sancirebbero la fine del progetto europeo.

Occorre ritrovare le motivazioni che hanno spinto le migliori forze intellettuali europee durante la seconda guerra mondiale a investire nel progetto europeo. Di fronte al dilagare delle forze nazionaliste in Europa vale la pena ricordare il passo del Manifesto di Ventotene laddove Altiero Spinelli scrive che la distinzione tra “progresso” e “conservazione” non sta più nella maggiore e minore democrazia o socialismo da realizzare in un solo paese ma lungo quella “nuova” linea che divide coloro che vogliono un “solido stato internazionale” e coloro che vogliono il potere concentrato nella Nazione. 

Il deficit di democrazia rappresentato dalla mancanza di uno stato federale europeo si riflette nella perdita di fiducia nella democrazia a livello nazionale.

Contro Le Pen, Orban, Salvini, Farage e Grillo e le forze nazionaliste di tutto il continente l'unica risposta efficace restano gli Stati Uniti d'Europa.

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