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Europa in Movimento

| Verso un'Europa federale e solidale

Incontro sul quantitative easyng

Il presidente della Banca Centrale Europea Draghi ha annunciato che potenzierà il Quantitative Easing poiché il target di inflazione del 2% rimane lontanissimo (1). Handesblatt, una delle più rinomate riviste economiche tedesche afferma che Draghi sta correndo grossi rischi con i soldi dei risparmiatori tedeschi e mette in copertina l’immagine del presidente della BCE che si accende un sigaro con una banconota da 100 euro.


La BCE negli ultimi anni – Le necessarie manovre espansive

Almeno a partire dal 2010 molti euroscettici hanno duramente criticato la valuta comune perché ci terrebbe nella trappola un’Europa troppo tedesca. Il luogo comune è che la BCE dovrebbe abbandonare la fobia dell’inflazione, tipica della cultura tedesca, e dovrebbe fare politiche per la crescita stampando moneta. In realtà nessuna delle grandi banche centrali stampa di continuo banconote, l’offerta di moneta viene ampliata acquistando titoli di Stato o titoli di emittenti privati o stimolando le banche commerciali a concedere più prestiti. Il 22 gennaio 2015 Draghi ha annunciato che la BCE avrebbe acquistato titoli di Stato e titoli di emittenti privati per 60 miliardi al mese almeno fino a settembre 2016 e comunque fino a quando l’inflazione non si fosse avvicinata al 2%. Alcuni irriducibili euroscettici enfatizzano che a 14 mesi dall’annuncio di Draghi non si vede alcun risultato, al contrario economisti di diversa estrazione dicono che l’inflazione cronicamente lontana dal 2% è inevitabile causa del crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime, quindi se Draghi non avesse oltre un anno fa lanciato il QE oggi saremmo in profonda deflazione.
Un altro luogo comune abbastanza diffuso è che l’Europa tedesca sia figlia in misura determinante dello statuto della BCE che indica quale finalità dell’istituto di Francoforte la stabilità delle prezzi e non anche un target di piena occupazione o crescita del Pil. In realtà, come ben spiega l’economista inglese Tony Atkinson,(2) l’unica grande banca centrale che nel suo statuto cita anche l’occupazione è la Bank of England, tuttavia se viene mancato il target di inflazione il governatore è obbligato a scrivere una lettera al cancelliere dello scacchiere in cui spiega quali sono a suo parere i problemi dell’economia, analogo obbligo non è previsto se aumenta la disoccupazione. In questa situazione di crisi e stagnazione, in attesa della politica, la nostra banca centrale da molti mesi da ossigeno all’economia. Che faccia ciò con la motivazione della bassa inflazione, del rischio default o della disoccupazione poco importa.
Infine non pochi contestano che a differenza della FED la BCE non interviene a sufficienza acquistando titoli di debito pubblico, in realtà la FED concentra la gran parte dei suoi acquisti sul debito federale, l’anomalia dell’area euro non è che la BCE non acquista debito dei singoli Stati, ma che non esiste un debito federale. Tra l’altro la necessità di scegliere se acquistare i titolo spagnoli piuttosto che quelli austriaci, quelli italiani o finlandesi pone problemi politici ad un’autorità tecnica che si risolvono o rinunciando a politiche monetarie espansive, o come nel caso del QE europeo. effettuando acquisti in proporzione al pil o alle quote di partecipazione nella BCE degli Stati membri
Se la BCE non pare efficace sui fronti della crescita, della disoccupazione e dell’inflazione, l’effetto delle sue politiche sui titoli di Stato dell’area euro è invece stato molto significativo: i titoli a dieci anni della Repubblica d’Irlanda pagano circa l’1%, quelli italiani con la stessa scadenza l’1,5%. Anche l’Italia con i titoli a breve scadenza è entrato nel club del debito pubblico a tassi negativi.
Cosa farà la Bce adesso
Mario Draghi ha dichiarato, non più tardi di un mese fa, che vi sono forze di mercato che spingono verso la deflazione; qualcuno si è divertito a parlare di “forze oscure”(3). Draghi ha poi annunciato il potenziamento del Quantitative Easing: (i) la Bce acquisterà 80 miliardi di titoli al mese, e non 60 come originariamente previsto (ii); verranno messe a disposizione delle banche centinaia di miliardi di euro a tasso zero; le banche pagheranno un tasso addirittura negativo dello 0,4% alla BCE se presteranno questi soldi ad imprese e famiglie (se gli impieghi delle banche cresceranno di una data percentuale) (iii) e verranno acquisiti titoli emessi da privati: i giornali citano il comparto energetico e delle infrastrutture.

Le controindicazioni

Un vecchio slogan liberista recita non free lunch in the market:, in un economia di mercato nessuno può mangiare senza far nulla. Se non ci fosse un prezzo per tutto quello che sta facendo Draghi potremmo convincerci che invece esistono pasti gratis. In una situazione di ordinaria inflazione e di piena occupazione il prezzo delle politiche monetarie espansive sarebbe un’elevata inflazione. Con un sistema lontano dalla piena occupazione le politiche monetarie convenzionali non hanno costi immediati, ma comportano rischi. Scrive Raghuram Rajan, economista indiano-statunitense, attualmente governatore della banca centrale indiana, che anche tra gli economisti è assai diffusa la convinzione che lontano dalla piena occupazione non c’è necessità di seguire regole nelle politiche monetarie, eppure in tempi di crisi se non c’è un problema inflazione le politiche monetarie espansive si scaricano sui prezzi delle materie prime e degli immobili (4). Oggi il rischio di un’esplosione del prezzo delle materie prime è assai limitato:, per esempio si stima che per tutto il 2016 il prezzo del petrolio si manterrà a 40/50 dollari al barile, ma il rischio di esplosioni del prezzo degli immobili e di un’eccessiva volatilità dei mercati di borsa è forte. Certo non si può permettere che le borse perdano il 50 o il 60% del proprio valore in pochi giorni, ma nel lungo periodo tenere artificialmente stabili le quotazioni di società le cui prospettive di reddito peggiorano può essere devastante. Allo stesso modo bisogna evitare che le banche chiudano i rubinetti ma prima o poi bisognerà risolvere la questione dei crediti deteriorati che ormai nei paesi mediterranei valgono una percentuale a due cifre del Pil. Quindi i quotidiani tedeschi, che pur esagerano con toni populisti, non sbagliano quando enfatizzano che le scelte di Draghi sono rischiose.
Inoltre, come ha sottolineato Yves Mersch, uno dei padri del Quantitative Easing europeo, governatore della banca centrale del Lussemburgo dal 2008 al 2012 e membro del comitato esecutivo della BCE dal 2012, il caso giapponese dimostra che il Quantitative Easing produce disuguaglianze. Le manovre della Bce di fatto danno capitali solo alle imprese più solide, fanno crollare i rendimenti per i piccoli risparmiatori e i bassi tassi nominali possono indurre soprattutto gli investitori meno esperti ad assumere grossi rischi.

Il ruolo delle politica

Perfino Thomas Piketty nel Capitale nel XXI secolo, scrive che le banche centrali non creano mai ricchezza al massimo la redistribuiscono, e tra l’altro lo fanno con il grande limite di non avere un mandato politico. Da una profonda crisi si esce con scelte di politica sociale e industriale che non può fare una banca centrale. Il problema non è la quantità di liquidità che una banca centrale può mettere in gioco, ma i pochi strumenti che ha per indirizzarla dove serve .
In un recente articolo Guido Gentili, in maniera abbastanza confusa, afferma dalle colonne del Sole24Ore che la politica europea sta sprecando tempo nella battaglia per la flessibilità ed il Piano Junker è quasi disperso mentre, cita il valore creato da imprese come Airbnb protagoniste di quello che lui definisce il capitalismo di internet (5). Oggi in Europa abbiamo una vasta rete di servizi pubblici concentrati soprattutto in istruzione e sanità;, gli americani hanno una sistema di assicurazione contro la disoccupazione, finanziato in realtà in gran parte con fondi statali e supportato dal budget federale solo in caso di profonda crisi ed una vasta rete di grandi imprese capaci di cavalcare la frontiera tecnologica. Le prime cinque società americane per capitalizzazione Apple, Google, Microsoft, Amazon e Facebook trovano la loro ragion d’essere in iInternet, la prima e la terza, Apple e Microsoft, sono state fondate a metà degli anni settanta, due, Google e Microsoft tra la metà degli anni ottanta e degli anni novanta, l’ultima Facebook una dozzina di anni fa. Il paragone con il listino italiano è impietoso: nella borsa si Milano non c’è traccia di imprese innovative:, le più grandi realtà sono banche, Enel ed Eni, che direttamente o tramite fondazioni hanno dietro soci di riferimento pubblici.
Da quando Mariana Mazzucato ha pubblicato lo Stato Innovatore infuria un lungo dibattito sulle imprese innovative americane, i liberisti dicono che sono figlie di un “ecosistema a misura di business”, i neokeynesiani dicono che sono figlie della spesa pubblica in ricerca a partire da quella dei comparti della sanità e della difesa.
Per esempio il governo italiano vuole fare una politica economica complementare alle politiche monetarie di Draghi con una manovra fiscale di portata generale che comporterà nel giro di qualche anno un taglio all’aliquota dell’imposta sui redditi delle società e con interventi mirati quali minibond(6), superammortamenti (7), incentivi per chi investe in ricerca e sviluppo. Il taglio delle imposte sulla società, effettuato in un contesto di scelte tale da non pregiudicare i servizi essenziali e da non creare ulteriori disuguaglianze potrebbe sortire effetti positivi, ma non sarebbe una scelta mirata alla riqualificazione del tessuto industriale italiano cui fanno riferimento Mazzuccato, Gentili e tanti altri; ancor più fuori bersaglio sono gli altri incentivi che nell’intenzione del governo dovrebbero aiutare le piccole imprese e favorire la ricerca. In un contesto di diffuso nanismo delle imprese la ricerca necessita della mano pubblica e le piccole imprese ottengono spazi non con una utopica decretazione volta alle “pari opportunità tra grandi e piccole imprese” ma con lo sviluppo di grandi realtà pubbliche e private che fanno innovazione e fungono da traino per le realtà più piccole.
Altro grosso problema della politica europea è che le risposte in ordine sparso dei singoli stati dell’area euro ovviamente non costituiscono un valido complemento alle politiche monetarie della BCE. La storia recente ha dimostrato che nei momenti di crisi più acuta i governi sono assolutamente incapaci di coordinare le proprie politiche fiscali andando oltre accordi quali il fiscal compact. E’ per esempio assolutamente assurdo da un punto di vista economico che anche paesi solidi come l’Olanda, la Germania e la Finlandia facciano austerità in un periodo di profonda crisi, la logica politica porta a dire che i paesi solidi devono dare l’esempio, ma la macroeconomia insegna che in un’area molto integrata quando tutti fanno politiche di austerità è i impossibile per i più deboli rimettere i conti in ordine.

Cosa si può fare

• Un new deal europeo, come giustamente scriveva qualche giorno fa Mario Leone, che produca una manovra fiscale espansiva preclusa oggi a molti stati UE che è imprescindibile per il buon funzionamento nel medio e breve periodo delle politiche monetarie della BCE e che nel lungo crei i presupposti per una riqualificazione del tessuto industriale delle periferie d’Europa. Se come sottolineato sopra è impossibile coordinare le politiche fiscali di tutti i paesi dell’area euro non esiste altra soluzione che creare una fiscalità europea
• Conseguenza diretta di una fiscalità europea sarebbe l’emissione di Eurobond, finché non ci saranno titoli di debito pubblico dell’area euro per la BCE sarà difficile effettuare operazioni sul debito pubblico
• Un meccanismo di assicurazione europeo contro la disoccupazione, che faccia somigliare un po’ di più l’euro ad un’Area Valutaria Ottimale. Su questo tema ho già scritto diverse volte su questo blog e da diversi mesi sottolineo che la politica monetaria da sola non ci porterà fuori dal pantano della recessione e della deflazione (10). Un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione in periodi ordinari potrebbe costare 5 miliardi l’anno, in periodi di profonda crisi 10 o 20 miliardi.
• Programmi di lotta alla povertà e di riqualificazione dei disoccupati in paesi dove il welfare parla a una ristretta cerchia di cittadini.
Nessuno oggi può affermare che la BCE negli ultimi anni non abbia fatto politiche espansive, il problema è che gli Stati con le loro politiche fiscali e con l’austerità competitiva hanno azzerato l’effetto delle scelte della BCE. I banchieri centrali possono solo comprare tempo, ma comprare tempo non serve a nulla se i politici non sanno cosa fare. All’area euro serve subito un governo. Se doteremo l’euro di istituzioni democratiche Draghi passerà alla storia come il salvatore dell’Europa dei Monnet, Schuman e Spinelli;, se non lo faremo la sua gestione verrà ricordata come una repubblica di Weimar degli anni 2000.


Approfondimenti

1) Nel Gennaio 2015, quando Draghi ha annunciato il lancio del Quantitative Easing nell’area euro da diversi mesi si registrava un’inflazione su base annuale inferiore all’1%, era stata negativa a dicembre 2014 e gennaio 2015. L’inflazione dell’area euro è ritornata positiva per tutto il 2015 ma non è mai salita sopra lo 0,3% su base annua. A febbraio 2016 l’inflazione è ritornata in territorio negativo. Draghi ha deciso di potenziare il Quantitative Easing. Si noti che la bassa inflazione o la deflazione possono derivare da fattori endogeni all’economia, come la crescita dell’offerta (inflazione da offerta) o la scarsità della domanda (è questo il caso più preoccupante, oppure la bassa inflazione o la deflazione possono essere frutto di fenomeni di breve periodo come le fluttuazioni del prezzo del petrolio, delle materie prime o degli alimentari. Si parla per esempio per le economie che importano petrolio e altre materie prime di inflazione importata. Per questo motivo al concetto di inflazione è stato affiancato quello di inflazione core che esclude le fluttuazioni del prezzo delle materie prime e di altri beni il cui prezzo è solitamente poco stabile. Anche l’inflazione core nell’area euro, (nel mese di gennaio 1% su base annua, nel mese di febbraio 0,7%), è stata ben lontana dal target del 2%. Per dare un termine di paragone in Gran Bretagna nell’ultimo anno e mezzo l’inflazione core si è attestata tra l’1,2 e l’1,4% su base annuale (elaborazioni basata su dati fonte Bloomberg)

2) A.T. Atkinson, Disuguaglianze. Che cosa si può fare. Raffaello Cortina Editore. Milano. 2015

3) Draghi: forze globali concorrono per tenere bassa l’inflazione. Il sole24ore, 4 febbraio 2016 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-02-04/draghi-pronti-ad-adottare-ulteriori-politiche-espansive-sostenere-crescita-092151.shtml?uuid=ACfQVSN

4) R.G.Rajan, Terremoti Finanziari. Come le fratture nascoste minacciano ancora l'economia globale. Einaudi. Torino. 2012

5) G. GENTILI, La spinta di Draghi, la miopia dell'Europa, Il sole24ore, 12 Marzo 2016, http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-03-12/la-spinta-draghi-miopia-europa--100710.shtml?uuid=ACrRk0mC

6) Prestiti obbligazionari emessi da piccole e medie imprese non quotate

7) Con il termine super ammortamento si intende la possibilità di dedurre fiscalmente talune spese in modo più rapido o in misura maggiore al costo realmente sostenuto. La legge di stabilità del 2016 per esempio permette di dedurre gli ammortamenti per alcune spese per investimentoi maggiorando del 40% il costo sostenuto.

Autore
Salvatore Sinagra
Author: Salvatore Sinagra
Bio
Nato a Palermo nel 1984. Laureato in Economia e legislazione per l’impresa all’Università Bocconi. Vive a Milano. Si occupa di valutazione di partecipazioni industriali e finanziarie. È un convinto sostenitore del federalismo europeo e della necessità di piani di investimento europei che rilancino il tessuto industriale europeo puntando sulle nuove tecnologie. E' membro del comitato centrale del Movimento Federalista Europeo dal 2015.
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