Questo sito utilizza cookie di terze parti. Se decidi di continuare la navigazione consideriamo che accetti il loro uso

Europa in Movimento

| Verso un'Europa federale e solidale

President of the European Council, Herman Van Rompuy, and President of the United States, Barack Obama, shake hands concluding the EU-US Summit, Washington, 28 November, 2011 (fonte flickr)

In una lunga intervista di Jeffrey Goldberg, publicata su The Atlantic (April 2016), intitolata The Obama Doctrine, il Presidente americano Barack Obama discute delle linee fondamentali della sua politica estera, fornisce qualche indicazione sul futuro dell’ordine internazionale e fustiga l’Europa per la sua incapacità di assumersi responsabilità internazionali. Una breve sintesi di questa intervista e qualche commento sono necessari per evidenziare i meriti di un Presidente che si è trovato a gestire una difficilissima situazione interna e internazionale.

Obama è stato eletto nel pieno della crisi finanziaria del 2008. Ha saputo accompagnare la politica monetaria con un’efficace politica fiscale (cosa che l’UE non poteva fare, aggravando la crisi in Europa e nel mondo), facendo così uscire dalla grande recessione l’economia statunitense in un tempo ragionevole. Tuttavia, i suoi meriti maggiori consistono, a nostro avviso, nella sua prudente condotta di politica estera, che ha corretto non del tutto, ma significativamente, gli errori commessi dal suo predecessore. Alla fine della sintesi, cercheremo di mostrare come l’Europa potrebbe contribuire alla creazione di un nuovo ordine internazionale pacifico.

Valori e interesse nazionale

Ogni capo di stato deve saper governare il difficilissimo equilibrio tra difesa dei diritti umani e interesse nazionale. Obama è perfettamente cosciente del fatto che l’interesse nazionale non può essere subordinato all’idealismo umanitario. L’ambasciatrice all’Onu, Samantha Power, avrebbe voluto che Obama inserisse nel suo discorso di accettazione del premio Nobel per la Pace un omaggio alla dottrina detta ‘responsibility to protec’ (R2P), secondo la quale gli USA sarebbero intervenuti per difendere i cittadini di un paese in cui i diritti umani sono minacciati da un governo tirannico. Obama si rifiutò. Goldberg riferisce che un presidente americano non può mettere a repentaglio la vita dei suoi soldati ‘per prevenire un disastro umanitario, a meno che questo disastro non rappresenti una minaccia diretta per gli USA.’ Tuttavia, Obama è consapevole che gli USA restano una potenza mondiale che può contribuire efficacemente alla diffusione dei diritti umani e della democrazia. Difende la realizzazione di un internazionalismo liberale, non necessariamente egemonico: “Noi agiamo, afferma, non sulla base di un puro interesse, mentre introduciamo norme che migliorano la vita di tutti. Se è possibile fare del bene a un costo ragionevole, per salvare vite, lo facciamo…. Io non sono solo un internazionalista, sostiene Obama, sono anche un idealista nella misura in cui credo che dobbiamo promuovere valori, come la democrazia e i diritti umani … non solo perché è nostro interesse che altri adottino i nostri valori … ma anche per rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.”

Un prudente disimpegno dall’ex-impero mondiale

La parte più impegnativa della politica estera di Obama riguarda la svolta radicale nei confronti dell’orientamento del precedente Presidente George W. Bush che ha provocato lo sconvolgimento degli equilibri medio-orientali con l’invasione dell’Iraq, per ‘esportare la democrazia.’ La politica neo-imperiale statunitense ha origini lontane e basi ideologiche che anche l’Europa ha purtroppo condiviso. Dopo la disgregazione dell’impero sovietico, si è affermata l’idea di un mondo monopolare, di un futuro secolo americano in cui si sarebbe affermata la liberal-democrazia come valore e come istituzione universale. Si era giunti alla ‘fine della storia,’ grazie alla diffusione del benessere e della pace ovunque. Questo ‘unipolar moment,’ tuttavia, ha favorito anche una politica estera statunitense aggressiva. In Europa, l’unificazione tedesca è stata accettata da Gorbaciov, allora Presidente dell’URSS, contro la promessa americana e degli alleati europei che la NATO non si sarebbe allargata a Est. Qualche anno dopo, la promessa è stata dimenticata dai paesi dell’ex-Comecon, dall’UE e dagli USA: la paura dell’orso sovietico si è placata solo con l’ingresso dei paesi dell’Est nella NATO, provocando così la reazione, seppure dopo qualche tempo, di Putin in occasione della crisi Ucraina. L’ebrezza unipolare ha poi condotto l’amministrazione Bush, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, a invadere con poco successo l’Afghanistan e a esportare la democrazia in Iraq, con le conseguenze oggi ben visibili in Siria, in Libia e nelle aree dominate dall’ISIS.

La reazione di Obama a questi errori è netta. Riconosce che nel mondo contemporaneo non è più possibile usare la forza militare come nel passato. “Quando noi inviamo le nostre truppe – afferma – c’è sempre la percezione da parte degli altri paesi che, sebbene l’intervento sia necessario, la sovranità è stata violata.” Gli USA non possono svolgere il ruolo di poliziotto del mondo. “L’idea che quando si presenta un problema inviamo i nostri militari per imporre l’ordine non ha senso. Non possiamo agire così.” Questa consapevolezza spiega la politica di Obama verso la Russia e il Medio Oriente. “Potere reale è quello che consente di ottenere ciò che si vuole senza usare la violenza.” Per questo alla Russia conveniva un’Ucraina dominata da una cleptocrazia che poteva essere manovrata dalle retrovie. Ora l’invasione militare è avvenuta, ma “L’Ucraina non è un paese Nato,” osserva Obama, “è parte dell’interesse russo, non di quello statunitense, pertanto sarà sempre dominata dalla Russia qualsiasi cosa facciano gli USA.”

Sul Medio Oriente Obama confessa di avere avuto esitazioni e una seria crisi personale. Prima di diventare presidente, si era espresso, come senatore, contro l’intervento di Bush in Iraq, un’opinione allora controcorrente negli USA. Secondo me, dice Obama, “Saddam Hussein non rappresentava una minaccia immediata agli Stati Uniti e ai suoi vicini … un’invasione avrebbe infiammato il Medio Oriente e incoraggiato la parte peggiore del mondo arabo, oltre a rafforzare Al-Queda.” Quando, dopo la primavera araba, si è aperta la crisi in Siria, Obama si è espresso contro il dittatore Assad, che non ha esitato a usare i gas tossici contro i propri cittadini. Tuttavia, nel momento decisivo, quando Francia e Gran Bretagna avevano già deciso di intervenire contando sul sostegno statunitense, Obama cambiò opinione. “Ho compreso che la mia credibilità era in gioco, così come quella dell’America. … dover resistere alle pressioni immediate e chiarirmi quale fosse il vero interesse dell’America, non solo rispetto alla Siria ma anche rispetto alla nostra democrazia, è stata la decisione più difficile che abbia preso, e oggi sono convinto che quella decisione fosse corretta.” E aggiunge: “L’ISIS non è una minaccia esistenziale per gli USA.” Il commento dell’intervistatore, per quanto riguarda l’orientamento di Obama nella politica USA verso la Russia, l’Iran e la Siria, è che: “il prezzo di un’azione diretta statunitense sarebbe stato maggiore del prezzo dell’inazione. Obama è ben consapevole di dover convivere con le pericolose ambiguità di questa decisione.”

Il nuovo ordine internazionale

Obama osserva con realismo che il mondo sta diventando rapidamente multipolare e che nel giro di pochi decenni gli USA non potranno più occupare alcune predominanti posizioni sulla scena mondiale. Vi sono continenti, come l’Asia, dove lo sviluppo economico, grazie a Cina, India e ASEAN sta avanzando a passi da gigante, cambiando così la geopolitica mondiale. Vi sono poi continenti coma l’Africa e il Medio Oriente, dove l’instabilità politica è endemica e si creano pericolosissimi vuoti di potere. “In generale, osserva Obama, l’umanità è divenuta meno violenta, più tollerante, più prospera, meglio nutrita, più empatica, più capace di convivere con le differenze. Ma vi sono gravi scompensi. Quello che appare chiaro nel XX e nel XXI secolo è che il progresso che abbiamo ottenuto nell’ordine sociale, dominando i nostri istinti di base e tenendo a bada le nostre paure, può essere rovesciato molto rapidamente. L’ordine sociale comincia a sgretolarsi quando la gente è sottoposta a pressione. Allora si torna alla posizione originaria tribale – noi/loro – all’ostilità verso lo sconosciuto e l’ignoto.” La civiltà è una costruzione fragile e il ritorno alla barbarie è un pericolo costante. “Un gruppo come l’ISIS è il distillato dei peggiori impulsi … vuole imporre un’ortodossia sterile, che non celebra nulla, che è in realtà contraria a ogni possibile progresso umano, e che indica il degrado di mentalità a cui possono giungere i suoi aderenti nel XXI secolo.” La sconfitta del terrorismo non sarà un compito facile e di breve periodo. Obama auspica che si manifesti un profondo mutamento culturale all’interno dell’Islam: “Non vi sarà alcuna soluzione duratura al terrorismo islamico sino a che l’Islam non si riconcilierà con la modernità e intraprenderà alcune delle riforme che hanno cambiato il Cristianesimo.”

Il terrorismo internazionale non rappresenta il solo pericolo mortale per la civiltà. “Il mutamento climatico è un potenziale rischio esistenziale per l’intero mondo se non facciamo abbastanza per arrestarlo. … E’ un problema politico perfettamente architettato per schivare gli interventi dei governi. Riguarda ogni singolo paese, ma crea un’emergenza lenta a manifestarsi, così nell’agenda dei governi vi è sempre qualche cosa di più urgente da fare.” Per questo Obama è stato molto attivo in occasione della COP21 di Parigi e, anche grazia ad un accordo preliminare con la Cina, è riuscito a promuovere un sufficiente, seppure fragile, consenso degli altri stati per politiche attive contro il cambiamento climatico.

Per quanto riguarda il futuro dell’ordine internazionale, l’attenzione di Obama è concentrata sulla Cina. “In termini della tradizionale relazione tra grandi-stati – afferma – credo che le relazioni fra USA e Cina siano cruciali. Se procediamo nella giusta direzione e la Cina continua nella sua crescita pacifica, allora abbiamo un partner che acquista una crescente capacità di condividere con noi il peso e le responsabilità per mantenere l’ordine internazionale. Se la Cina fallisce; se non è in grado di mantenere una traiettoria che soddisfi la sua popolazione ed è obbligata a ricorrere al nazionalismo come principio organizzativo; se si considera incapace di assumersi responsabilità per l’ordine internazionale; se considera il mondo solo in termini di sfere di influenza regionali, allora non solo si potrebbero manifestare potenziali conflitti con la Cina, ma aumenteranno per noi le difficoltà nell’affrontare le future sfide.”

L’Europa irresponsabile

Nel futuro ordine internazionale immaginato da Obama non vi è alcun ruolo per l’UE. “I free riders mi irritano,” afferma Obama riferendosi al ruolo della Gran Bretagna che pretendeva una ‘special relationship’ con gli USA senza volerne pagare il prezzo, cioè aumentare le sue spese per la difesa. “Dovete pagare la vostra quota” se volete partecipare. Non è tuttavia solo la Gran Bretagna a irritare Obama. E’ severamente critico verso tutta l’Unione europea. Nel caso della crisi libica del 2011, Francia e Gran Bretagna pur di detronizzare Geddafi hanno chiesto l’aiuto degli USA, ma poi hanno rinunciato a gestire le conseguenze del loro operato, lasciando la Libia in preda alle lotte tribali. Gli europei sono dei ‘free riders,’ (in italiano, dei portoghesi che sfruttano un servizio senza pagare il biglietto, degli scrocconi) perché pretendono che gli USA garantiscano la loro sicurezza, ma non vogliono assumersi responsabilità internazionali. “Noi agiamo come parte di una coalizione internazionale. Ma poiché l’azione non è essenziale per i nostri interessi, chiediamo un mandato dell’ONU; è necessario che gli europei e i paesi del Golfo siano attivamente coinvolti nella coalizione; noi mettiamo a disposizione le nostre potenzialità militari, ma ci aspettiamo che gli altri facciano la loro parte.” Gli USA non intendono impiegare le loro forze militari sul territorio, ma non si rifiutano di sostenere i costi dell’operazione. Tuttavia, è necessario costatare che oggi “La Libia è un disastro .. per ragioni che non dipendono dalla incompetenza degli USA, ma dalla passività degli alleati dell’America e dal persistente potere del tribalismo. .. Purtroppo – conclude Obama – ho avuto troppa fiducia negli europei, data la loro prossimità con la Libia, e nella loro volontà di assumersi responsabilità.”

Un bilancio

Goldberg ricorda che nel corso della sua politica estera Obama ha avuto molte delusioni, ma ha anche conseguito successi, come l’apertura a Cuba, l’accordo sul clima di Parigi, il ‘Trans-Pacific Partnership trade agreement’ e, infine, l’accordo sul nucleare con l’Iran. Tuttavia, la sua sintesi finale riguarda principalmente la svolta di Obama nei confronti della precedente amministrazione: “George W. Bush è stato uno scommettitore (gambler), non un bluffatore (bluff, fingere, ingannare). Sarà ricordato con severità per le cose che ha fatto nel Medio Oriente. Barack Obama scommette che sarà giudicato bene per le cose che non ha fatto.”

In conclusione: un commento sulla politica estera europea

L’ampia intervista sulla Dottrina Obama suggerisce qualche osservazione sulla politica estera dell’Unione europea. Si potrebbe giustamente osservare che l’Unione europea non ha una politica estera, è un ‘free rider,’ sfrutta opportunisticamente la copertura militare americana; non si assume alcuna seria responsabilità internazionale in materia di sicurezza. D’altro canto, che può fare un’Unione che è divisa su tutto? Da sei anni i suoi governi sovrani litigano su come uscire dalla crisi economica, litigano sulla crisi dell’Ucraina e i rapporti verso la Russia, litigano su cosa fare contro il terrorismo e sulle politiche per l’immigrazione, litigano sul futuro del Medio Oriente e del Mediterraneo. L’Unione europea non solo non è in grado di fare una realpolitik, ma nemmeno una moralpolitik, perché sta mostrando al mondo che il suo vantato modello di convivenza civile, culturale e politica sta fallendo.

Eppure, chi si batte per l’unificazione politica dell’Europa non può abbandonare la speranza che nella classe politica europea, nel Parlamento europeo, nella Commissione o tra i governi vi sia chi ha il coraggio di considerare il problema europeo come prioritario rispetto ai meschini interessi nazionali. Per questo, non è inutile cercare di suggerire una linea di politica estera che potrebbe mutare radicalmente la posizione dell’Europa nel mondo, consentendole di svolgere un ruolo attivo a fianco di chi, in altri continenti, in particolare negli USA, vuole costruire un futuro ordine internazionale più giusto e pacifico.
La proposta è semplice: l’Europa, quella dell’Est e dell’Ovest, è un continente cruciale per la sicurezza e la pace nel mondo. Gli europei detengono la chiave per garantire una maggiore sicurezza a se stessi e al mondo intero. Per conseguire questo obiettivo è opportuno che l’UE si doti di una propria forza militare, che tuttavia potrebbe restare modesta, sul modello di una forza di intervento rapida, messa a disposizione di un governo europeo responsabile nei confronti del Parlamento europeo. Tuttavia, la sicurezza non dipende solo dalla forza militare, come insegna bene l’intervista a Obama. Occorrono iniziative coraggiose per superare le impasses che ostacolano una piena cooperazione internazionale tra grandi potenze. Una di queste è certamente il contrasto tra USA e Russia. Ebbene, l’UE dovrebbe prendere in considerazione, e rilanciare, la proposta che nel 1991, e poi nel 1994, la NATO fece alla Russia: cioè un accordo di partenariato per la pace e la cooperazione, unilateralmente sospeso nel 2014. Occorre riproporlo, progettando a termine una piena partecipazione della Russia alla NATO, per mettere fine una volta per tutte a un contrasto militare che, dopo la caduta del Muro di Berlino non ha alcun fondamento nelle relazioni tra i popoli europei. Questa politica sarà difficile da realizzare – perché gli odi del passato non si placano facilmente; inoltre il primato statunitense degli USA dovrà cessare; la NATO deve diventare una partnership tra eguali – ma avrà effetti positivi importantissimi. La fine delle tensioni USA-Russia in Europa è di rilevanza strategica anche per il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Asia (Caucaso, Afghanistan). Si pensi ai rapporti Turchia–Russia e alla recente crisi della Siria, dove solo la cooperazione tra USA e Russia è riuscita a imporre una tregua tra le forze in campo. Infine una pacificazione dell’intera area Medio Orientale avrà certamente effetti benefici anche per il conflitto Israelo-Palestinese.

Un’iniziativa di questa portata avrebbe ripercussioni mondiali rilevanti, perché è ovvio che una rinnovata e più estesa NATO (da Vladivostok a Vancouver) potrebbe essere intesa come una minaccia verso altri stati, come la Cina, l’India, il Brasile, ecc. Occorre dunque offrire serie garanzie che l’allargamento abbia solo una funzione pacificatrice intereuropea. Per questo diventerà necessaria una drastica riforma del Consiglio di sicurezza, ritardata da decenni, per includere altri stati e fornire la garanzia che la rinnovata NATO non agirà mai al di fuori del suo territorio senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Si realizzerà così, in termini leggermente diversi, la saggia proposta di Boutros Boutros-Ghali, contenuta in An Agenda for Peace, del 1992, in cui si proponeva una forza militare a disposizione dell’ONU per casi di emergenza. Se si raggiungesse un largo consenso nel Consiglio di Sicurezza sulla necessità di un intervento militare, ad esempio nel quadro della strategia “Responsibility to Protect,” per la difesa dei diritti umani di una comunità minacciata di genocidio oppure dal terrorismo internazionale, vi sarebbero forze militari sufficienti per intimorire e dissuadere anche il più feroce dittatore.

In sostanza, la sicurezza e la pace in Europa, oggi come agli inizi del processo di integrazione europea, è inestricabilmente connessa con il più generale problema della pace nel mondo. Vi sarà un ambizioso leader europeo che vorrà diventare un leader mondiale?

Autore
Guido Montani
Author: Guido MontaniWebsite: https://sites.google.com/site/guidomontani23/
Bio
Guido Montani insegna International Political Economy nell’Università di Pavia. E’ stato Segretario Generale e Presidente del Movimento Federalista Europeo. E’ Membro Onorario della Unione Europea dei Federalisti (UEF). Ha fondato nel 1987, con un gruppo di amici, l’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, di cui è stato Direttore. Tra le sue pubblicazioni: L’economia politica e il mercato mondiale, Laterza, 1996; Ecologia e Federalismo, Istituto Spinelli, Ventotene, 2004; L’economia politica dell’integrazione europea, UTET, 2008; con R. Fiorentini, The New Global Political Economy. From Crisis to Supranational Integration, Edward Elgar, 2012; con R. Fiorentini, The European Union and Supranational Political Economy, Routledge, 2015; From National to Supranational: A Paradigm Shift in Political Economy" in Iglesias-Rodrieguez P, Triandafyllidou A. and Gropas R. (eds), After the Financial Crisis. Shifting Legal, Economic and Political Paradigms, London, Palgrave, 2016.
Altri articoli dello stesso autore:

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla nostra mailing-list per ricevere gli ultimi articoli direttamente nella tua mail!

Eventi

MobilitAzioni

  

 

europea - parlano i fatti 

fermiamolafebbredelpianeta

 

unpa campaign

 

neawdealbee

 

 

Europa in onda

Europa in onda