Colpo di stato in Turchia: se la democrazia non è messa in discussione dalla shari’a ma dalla miopia di fronte a fenomeni complessi
- Scritto da Monica Callegher
Gli analisti che nelle prime ore davano Erdoğan per finito, i commentatori del giorno dopo che invece si dicono certi dell’ormai instaurata dittatura in nome della shari’a, l’incredibile numero di opinioni sprecate negli ultimi giorni, richiedono che venga fatta un po’ di chiarezza.
La Turchia è una Repubblica dal 1923, sorta dalle ceneri di un Impero Ottomano al collasso dopo la Prima Guerra Mondiale. Mustafa Kemal Atatürk, un militare che si era distinto in battaglia, grazie anche al suo carisma, riesce ad evitare l’atomizzazione della penisola anatolica e a mantenere un’unità territoriale che corrisponde all’odierna Turchia.
E’ giunto il momento di unirsi!
- Scritto da Andrea Armando Bisso
Dopo poche ore dai tragici fatti di Nizza l’emozione è ancora altissima. Diventa difficile provare a fare un commento o abbozzare delle analisi senza farsi fuorviare dall’inevitabile emotività e, su tutto, dalla rabbia. Una rabbia che sale dallo stomaco e che è assai arduo rimuovere ripensando a quelle tragiche immagini di piccoli corpi esanimi sull’asfalto di una delle più belle promenade del mondo. Con i fatti del Bataclan pensavamo di aver raggiunto l’apice dell’orrore, tanto che i fatti di Bruxelles nella loro tragicità apparivano meno eclatanti. Con Nizza si è superato l’inimmaginabile, sia per la dinamica dell’attentato sia per i tanti minori coinvolti.
Il demos di Stefano Fassina
- Scritto da Alberto Castelli
Su “Il Manifesto” del 5 luglio scorso, Stefano Fassina ha pubblicato un articolo intitolato Sinistra italiana, per tornare in campo rottamare Renzi non basta. Appunti per la fase costituente. Periferie,sovranità nazionale, centralità della persona e senso del limite. Come si comprende dal sottotitolo, l’autore intende indicare un’agenda della sinistra alternativa al PD di Renzi.
La ragionevolezza degli europei, la sconfitta dei sovranisti
- Scritto da Giosuè Baggio
Se credete che Brexit abbia prodotto in altri paesi europei un desiderio di emulazione o abbia aumentato la loro avversione nei confronti dell’Ue, preparatevi a una (temporanea) smentita. Sono usciti da pochi giorni i risultati di un sondaggio condotto su incarico della Fondazione Jean Jaurès e della Fondazione europea di studi progressisti (Feps). I dati sono stati raccolti tra il 28 giugno e il 6 luglio scorsi su un campione di circa 1000 rispondenti in ciascuno di 6 paesi: Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio e Polonia. I risultati sono per alcuni aspetti sorprendenti e invitano a un cauto ottimismo.
Apres le Brexit, que devrait faire l'Union Europeenne?
- Scritto da Paolo Ponzano
Introduction - After Brexit, what should the EU do?
Notwithstanding the dubious aspects of the referendum itself and its results (exclusion of UK expats, different vote in Scotland and Northern Ireland, polarisation between younger and older people, falsehoods being peddled during the referendum campaign), the decision to leave the EU seems to be irrevocable and impervious to second thoughts. Therefore the European Union should be prepared for a difficult negotiation which is likely to last two years at least. During this time it does not seem advisable to immediately start a Treaty reform, which might well be rejected in some new national referendum. In the next two years, the EU should try to regain the favour of European citizens by promoting a “package” of effective social measures (fighting unemployment, relaunching public investments, taking appropriate measures in favour of young people). This article lists some of these measures which the Commission, as the promoter of the European general interest, should propose as soon as possible.